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La verità è che non gli piaci

Nell'adolescenza, il 'per sempre' non esiste quasi mai

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29 marzo 2017

 

Una ragazza non dimenticherà mai la

sua prima cotta… anche se, la maggior

parte delle volte, è una delusione. In

questi casi, però, c’è sempre un’amica

pronta ad incoraggiarti e a sostenerti.

Il ragazzino che ci piace non ci cerca?

Non è perché non gli piacciamo ma,

anzi, è il contrario. Il ragazzo che ci ha

contattato non lo fa più? Avrà perso il

nostro numero. Non ci saluta per strada?  Non ci avrà visto. Ecco, queste sono le convinzioni di noi “illuse” adolescenti. Illusioni che vengono alimentate dalle nostre amiche!

Il problema è che “l’amore ci rende ciechi”, non ci permette di vedere la realtà dei fatti e ci estrania da tutto il resto. A volte siamo talmente concentrate sulla ricerca del “lieto fine” che non riusciamo ad interpretare i segnali, a riconoscere chi ci vuole da chi non ci vuole e chi resterà da chi andrà via. Perché ci raccontiamo tutte queste bugie? Forse perché abbiamo troppa paura ed è difficile dirci la verità.

Poi arriva il momento in cui l’amore si presenta, quello corrisposto. Ma sarà quello giusto, quello con la “A” maiuscola? Ti fa venire le “farfalle nello stomaco”?  Questo è il momento in cui si pensa, anzi si è certe che è l’amore della vita.  Ed ecco che le amiche cambiano atteggiamento: “Sei sicura che sia quello giusto per te?”… “Ma esci sempre con lui?”… “Stai attenta che lo abbiamo visto parlare con un’altra”…

È il dispiacere per aver perso la complicità di un tempo!?

Ma niente paura, tutto dopo un po’ ritorna come prima e l’amore folle che avrebbe dovuto durare tutta la vita … è magicamente finito!  Soffriamo tanto, la tristezza ci attanaglia, pensiamo di non farcela a sopravvivere senza di lui e poi …  arriva un altro e tutto è passato, si apre un altro fantastico e strepitoso capitolo!

La verità è che il periodo dell’adolescenza è il periodo della spensieratezza, del divertimento e dei legami passeggeri. Viviamola appieno, godiamo di tutti i momenti, fermiamo nella nostra mente ogni fotogramma. Memori sempre del motto oraziano: “Carpe diem!"

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Rigenerarsi con Dynamo

Il primo centro, nato in Italia, creato per ospitare gratuitamente ragazzi malati, appartenente alla famiglia internazionale di camp 'Serious Fun Children’s Network'

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21 marzo 2017

 

Una delle più grandi risorse del nostro paese è il volontariato, un’attività di aiuto e di sostegno. Chi si occupa di ciò non è spinto da fini di lucro, ma dall'interesse verso il

prossimo. Non a caso, Madre Teresa

di Calcutta, fondatrice della congrega-

zione religiosa delle ‘Missionarie della

carità, rivolgendosi a dei giovani aspi-

ranti volontari disse:“Il volontariato ve-

ro è un’azione di sacrificio”.

Nell’ampio panorama del volontariato italiano spicca una realtà associativa che si chiama ‘Dynamo Camp’: un vero e proprio campo di ‘terapia ricreativa’. Il primo nato in Italia, creato per ospitare gratuitamente i ragazzi malati, in terapia o post terapia e appartenente alla famiglia internazionale di camp ‘Serious Fun Children’s Network’, fondata dall’attore Paul Newman nel 1988. Nel camp si praticano tantissime attività: passeggiate a cavallo, tiro con l’arco, arrampicata, attività ricreativa in acqua, pet therapy; il tutto in una struttura che ha sede nell’oasi verde delle colline pistoiesi, in Toscana.

“Fare le cose che sembravano impossibili ha sempre contraddistinto la nostra missione. Ci dicevamo perché no?”, spiega Serena Porcari, consigliere delegato di ‘Fondazione Dynamo’, che nel 2016 ha festeggiato i 10 anni d’apertura del campo estivo. Uno dei partner principali di questa fondazione è Radio DeeJay, l’emittente radiofonica con sede a Milano, che vanta milioni di ascolti giornalieri e che aiuta il campo a raccogliere i fondi necessari.

“Vorrei che tutti, almeno una volta, raggiungessero la felicità che vivo io in questo momento a Dynamo Camp”. Così testimonia una bambina che è stata ospite della struttura.

In un’intervista radiofonica, Davide Annunziata, un ex paziente, ora volontario al Dynamo Camp, ha raccontato la sua storia: era il 2004 quando la madre dell’allora undicenne, preoccupandosi per la bassa statura del piccolo, decise di sottoporlo a visita medica. Il medico notò dei lividi sulla pancia e capì che era affetto dalla cosiddetta ‘aplasia midollare’. Il piccolo Davide, dopo aver rischiato un’emorragia interna, fu subito portato in ospedale. Ai radioascoltatori ha raccontato di quanto siano stati difficili i suoi primi giorni all’ospedale, tanto che fu affiancato da uno psicologo su richiesta della madre. “Sono passato dal giocare e divertirmi al non poter muovermi in un letto d’ospedale”, ha spiegato.

Ma nel 2007, al quarto anno della sua terapia, venne a conoscenza del ‘Dinamo Camp’. Inizialmente la madre non era molto convinta, ma in seguito decise di fargli intraprendere questa magnifica avventura. È stato proprio grazie a questa esperienza che è riuscito ad andare avanti. Lo ha aiutato a sentirsi come tutti gli altri, grazie alle numerose attività che svolgeva nel camp. Finalmente poteva muoversi e giocare, abbandonando la monotonia e la malinconia dell’ospedale. Nel 2013, Davide, dopo molti controlli, è guarito definitivamente: ora ha 23 anni, studia scienze dell’educazione e ha deciso di diventare un educatore del campo, aiutando coloro che vivono la situazione in cui si è trovato lui per molti anni.

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Quando ‘lui’ odia ‘lei’

Jennifer, l'ultima vittima a Pescara. Intanto è processo per il marito di Katia Tondi, strangolata nel casertano 3 anni fa

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20 gennaio 2017

 

Accade in casa, tra le cosiddette ‘rassicuranti’ mura domestiche, per mano di un marito, di un fidanzato, di un compagno, di uno spasimante, ma anche di un padre. Donne minacciate, malmenate, umiliate e spesso uccise.

Tra gli ultimi tragici episodi, quello del 2 dicembre scorso: vittima una giovane di Pescara, Jennifer Sterlecchini, 26 anni, uccisa a coltellate dal suo compagno, Davide Troilo, 32 anni,

ora in carcere. Jennifer lo aveva lasciato

da qualche giorno, ma era tornata a pren-

dere le sue cose nella casa in cui avevano

convissuto.

Un omicidio nato da una lite: la ragazza è

stata raggiunta da diversi fendenti, i cara-

binieri l’hanno trovata senza vita sul pavi-

mento dell’ingresso. Accanto a lei, a terra

c’era lui ferito per aver tentato il suicidio.

Proprio intervenendo sulla giornata contro la violenza sulle donne, Jennifer Sterlecchini, aveva riportato sul suo profilo Facebook frasi di condanna contro questo fenomeno tratte da letture e da altri post. Quello di Jennifer è solo l’ultimo degli episodi di violenza sulle donne. In provincia di Caserta, intanto, è sotto processo il marito di Katia Tondi, una giovane mamma di 31 anni, trovata strangolata nel suo appartamento coniugale di San Tammaro nel luglio del 2013 proprio da suo marito, Emilio Lavoretano, originario di Santa Maria Capua Vetere. L’uomo, maggiore sospettato, è accusato di omicidio volontario commesso con le modalità dell’impeto, uno scatto d’ira. Un raptus per aver perso la pazienza per qualcosa di cui non è dato al momento sapere. Introvabile anche l’arma del delitto che si pensa essere un nastro di tessuto, usato per strangolare la povera Katia. Quel giorno, Lavoretano, in giro per alcune commissioni avrebbe anche chiamato la moglie al telefono, ma soltanto la seconda perizia medica (che stabilisce l’epoca di alcuni ematomi soltanto sulla base di rilievi fotografici del cadavere), indicherebbe tra le 17,45 e le 19 la fascia oraria in cui sarebbe stata uccisa Katia, in casa insieme al figlio di sette mesi. Una fascia oraria per la quale il marito non avrebbe un alibi.

Frequenti episodi di violenza, in occasione dei quali il partner si sente superiore alla donna e quest’ultima subisce. A tutt'oggi, infatti, resta ancora abbastanza profondo il solco presente tra i due generi, nonostante la grande emancipazione femminile. Tante le donne uccise per mano di uomini, per problemi psicologici o per una mentalità chiusa di questi ultimi, che annientano brutalmente quello che definivano ‘l’amore della propria vita’.

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Volare è possibile? Sì, con il flyboard

Lo sport di puro divertimento nasce grazie a un’idea di Franky Zapata, un ex pilota professionista francese di moto d’acqua

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16 ottobre 2017

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Il flyboard è una tavola, simile a quella impiegata nel surf, nella quale sono inseriti degli stivali che ricevono da un tubo, collegato ad una moto d’acqua, un forte getto d’acqua il quale consente di ‘volare’ a colui che si trova sopra la tavola. Il funzionamento è legato al getto della moto d’acqua più o meno di 100 cavalli che entra nel tubo lungo 18 metri collegato alla tavola.

E’ stata una società francese, chiamata Zapata Racing, a creare questo macchinario spettacolare nel 2012, grazie a un’idea di Franky Zapata, un ex pilota professionista francese di moto d’acqua.

Le varianti del flyboard sono due. La prima prevede il coinvolgimento di due persone: una sulla moto d’acqua e l’altra sul flyboard. La seconda versione prevede la possibilità di sfruttare un sistema di guida indipendente, sicché la persona che usa il macchinario può gestire a distanza la moto d’acqua, che seguirà i movimenti di colui che guida la tavola.

E’ uno sport per il quale non sono indispensabili particolari capacità tecniche, ma è necessario avere delle buoni doti di equilibrio. In alcuni casi si può arrivare ad un’altezza di 10/15 metri sul livello del mare, quindi bisogna avere particolare equilibrio e freddezza per non cadere rovinosamente, tenuto conto che, se si precipita in acqua in maniera non corretta, ci si può far male. Riuscendo a regolare sapientemente l’acceleratore che dà propulsione al flyboard si possono compiere spettacolari evoluzioni.

E’ uno sport che si pratica prevalentemente per divertimento, infatti è molto diffuso in località turistiche e nei villaggi-vacanza. Si può praticare a tutte le età, anche se, ovviamente, non è consigliabile né per bambini troppo piccoli, né per persone anziane.

Il flyboard può essere effettuato in qualsiasi periodo dell’anno. Naturalmente, però, durante l’inverno bisognerà munirsi di una tuta da surf.

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Squisiti formaggi dalla Svizzera in tour: arrivano in Italia

“E’ una cosa romantica dedicare voi stessi, i vostri soldi e il vostro

tempo al formaggio"

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10 maggio 2017

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Questa frase di Anthony Bourdain, noto cuoco e scrittore statunitense, ben si sposa con l’iniziativa denominata “Il Tour del gusto”, promossa in versione itinerante nelle città della nostra penisola, dal 15 al 28 maggio.

Si tratta di una degustazione di formaggi svizzeri presentati a bordo di un double decker inglese anni ’60, un bus londinese a due piani. I formaggi che si potranno gustare sono moltissimi, dai più famosi come Emmentaler e Groviera, ai più rari e meno conosciuti. Si potrà salire sul bus gratuitamente, prenotandosi su www.iltramdelgusto.it, dal momento che i tour sono a numero chiuso.

Ad aspettarvi sul tram ci sarà Marco Cvetnich Margarit, meglio conosciuto come “Chef Cive”, rappresentante del consorzio dei formaggi svizzeri, il quale si cimenterà nella preparazione di stuzzichini gourmet e ricette esclusive a base di formaggio e coinvolgerà i visitatori in una magnifica esperienza alimentare.

L’Italia è uno dei paesi in cui la Svizzera esporta più formaggi. Però ci si accontenta spesso solo di quelli più conosciuti, trascurando il buon gusto di molti altri. Sarà per molti l’occasione di assaporarne di nuovi per la prima volta ed in modo completamente gratuito.

Il tour prevede 14 tappe lungo lo stivale, con partenza da Milano e arrivo a Lecce, passando naturalmente anche per Roma, oltre che per i principali capoluoghi e province. Il double decker ha fatto tappa anche a Caserta in via G.M. Bosco, il giorno 12 maggio. Ciò ha consentito di promuovere anche un gemellaggio con il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop, che preparerà piatti a base di mozzarelle e formaggi svizzeri.

Il tour inizia a metà mattinata, precisamente alle 11:30, con un break con i formaggi svizzeri. Nel pomeriggio si continua con incontri aperti a tutti. Durante questi appuntamenti le persone potranno assaggiare i prodotti esposti, ascoltare i consigli dello staff a bordo per la creazione di piatti e chiedere altre informazioni sulla storia e la produzione dei formaggi.

Basta solo dimenticarsi di tutto e tutti ed immergersi nell’atmosfera gastronomica, senza essere assillati dalle lancette dell’orologio, né condizionati da alcuno scrupolo perché, come diceva Billie Burke, l’attrice americana del secolo scorso, “L’età non conta, a meno che tu non sia un formaggio.”

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