top of page

Dj Fabo fa festa in Paradiso

Non si rischia la vita per distrazione o superficialità. In auto cinture allacciate e il cellulare non si tocca

 5 marzo 2017

 

“Fabo ha scelto di andarsene rispettando

le regole di un paese che non è il suo”.

Così un tweet di Cappato.

Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, è

morto lunedì 27 febbraio, verso mezzo-

giorno, in una clinica svizzera, circonda

to dall’affetto dei suoi cari. Ha effettuato

il suo suicidio assistito mediante un mix letale di farmaci, assunti tramite il morso di un pulsante.

Fabo, in seguito ad un incidente d’auto, era rimasto costretto a letto a causa di una contusione midollare. Tutto ebbe inizio la notte del 13 giugno 2014, quando, dopo le 2 del mattino, Fabiano, di ritorno da una serata in discoteca, subì il gravissimo incidente: nel tentativo di recuperare il cellulare caduto in macchina, tamponò un’auto in corsia d’emergenza, ribaltandosi e venendo sbalzato fuori dal veicolo. In seguito a questo incidente, è rimasto tetraplegico e cieco, impossibilitato a muovere i muscoli dal collo in giù. In questi due anni e nove mesi è rimasto immobilizzato su un letto, costantemente nel buio della cecità. Nonostante il supporto della fidanzata, Valeria, che ha definito il suo “angelo custode”, Fabo non considerava più la sua come una vita, ma come una sopravvivenza. Ormai non si sentiva più quello di prima, tanto da rifiutare il suo stesso nome, chiedendo ad amici e parenti di non chiamarlo più Fabiano. La conseguenza che però lo aveva turbato di più è stata la perdita della vista, infatti è stato l’aspetto che gli ha fatto decidere di voler morire. Prima di andarsene, però, ha fatto diverse promesse, tra cui quella di restare per il compleanno della mamma di Valeria.

Ad accompagnarlo in Svizzera, paese dove il suicidio assistito è previsto dalla legge, secondo determinate procedure, è stato Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, che aveva seguito il caso da un po’. Fabo è dovuto andare in Svizzera perché in Italia non è attualmente prevista l’eutanasia o il suicidio assistito. Cappato lo ha accompagnato, con un viaggio di cinque ore, fino a Zurigo, dove Fabiano è deceduto dopo aver effettuato diverse visite mediche e psicologiche. Al suo rientro in Italia, qualche ora dopo, Cappato è andato ad autodenunciarsi per aiuto al suicidio, reato per il quale si rischia fino a dodici anni di carcere. È stato denunciato anche per istigazione al suicidio, anche se da parte sua, come egli stesso riferisce, non c’è stata alcuna istigazione, semmai il contrario.

Fabo, però, ha mantenuto la sua ironia e acutezza fino alla fine, infatti le sue ultime raccomandazioni agli amici sono state: “Adesso che tornate in Italia, allacciatevi le cinture!”. Però forse dietro la battuta, si nasconde un monito importante: la vita non si rischia per distrazione e superficialità. Quando si sale sull’auto le cinture vanno allacciate sempre. E il cellulare dimenticato.

​

​

Fiori come armi

Mentre si registrano nuovi arresti a Nizza... Riflessioni sull’attentato

​

22 dicembre 2016

 

Ancora sul terrorismo. Il 12 dicembre scorso, sono state arrestate 10 persone in seguito all’inchiesta relativa all’attentato avvenuto il 14 luglio a Nizza, durante i festeggiamenti per il 227° anniversario della Presa della Bastiglia. Un’altra persona era stata arrestata venerdì scorso a Nantes, città della Francia occidentale. I presunti colpevoli avrebbero aiutato, procurandogli delle armi, l’autore dell’attacco, Mohamed Lahouaiej Bouhlel. Quest’ultimo, alla guida di un tir di colore bianco, si era diretto lungo

go la Promenade des Anglais investendo

la folla presente, che aveva appena assi-

stito ad uno spettacolo pirotecnico.

L’attentatore, durante la sua folle corsa,

finalizzata a travolgere il maggior numero

di gente possibile, aveva causato la mor-

te di 86 persone e il ferimento di altre 400. Il terrorista era stato fermato a seguito di una sparatoria ingaggiata dalla polizia, durante la quale era rimasto ucciso.

“Dopo il passaggio del camion ho visto per terra un bambino, morto tra le braccia del padre disperato che lo accarezzava, mentre con l’altra mano reggeva una carrozzina, ho visto una signora senza una gamba, un uomo senza un piede. Sentivo grida, urla, disperazione. Sono rimasto impietrito, immobile, poi ad un certo punto è stato come se il silenzio mi avvolgesse.”  Maurizio, l’autore di questa testimonianza, si salvò perché era seduto su una panchina, impegnato al cellulare a rispondere ad un messaggio della sua compagna.

Questo attacco, che ha colpito la Francia nel profondo, è uno dei tanti che sono avvenuti negli ultimi anni non solo nel paese transalpino, ma anche nel resto d’Europa, turbando i cittadini del Vecchio Continente. Tutti questi avvenimenti sotto la voce ‘terrorimo’: atti di violenza che, dietro il paravento del conflitto di matrice religiosa, mirano ad annichilire le coscienze degli individui e, attraverso l’imposizione di principi di tipo teocratico, a destabilizzare le istituzioni democratiche e a generare stravolgimenti negli assetti politici odierni.

Oltre questo attentato, se ne ricordano altri che sono stati organizzati in Europa, quello avvenuto a Bruxelles, il 22 marzo scorso, in cui rimasero vittime oltre 30 persone, a quattro mesi di distanza da quello che colpì Parigi il 13 novembre 2015, che causò 130 vittime. Il primo, a Parigi, era stato quello attuato dieci mesi prima ai danni della redazione del giornale satirico Charlie-Hebdo. Contro questa cieca ed efferata violenza inferta dall’homo homini lupus a poco sembrano servire la cooperazione tra gli stati e le marce di solidarietà .

Eppure, dopo la strage, al figlio che diceva: “Hanno le pistole per spararci addosso, perché sono molto cattivi!” un padre, ostinatamente, rispondeva: “Sì, ma noi abbiamo i fiori.”

​

​

La città di Spartaco arriva in tv

Quando il piccolo schermo insegna

​

22 aprile 2017

 

Sabato 8 aprile è andata in onda in prima serata la prima puntata della nuova stagione di “Ulisse: Il Piacere Della Scoperta”, noto programma televisivo di divulgazione scientifica condotto da Alberto Angela.

Il tema della serata è stato quello della ribellione di Spartaco, schiavo che si rivoltò contro la repubblica romana, attirando a sé un esercito servile che voleva essere libero dai soprusi.

Egli fu anche un gladiatore, e faceva parte

della scuola di Capua, odierna Santa Maria

Capua Vetere, dove infatti è stata girata la

puntata. Il documentario ha mostrato le bel-

leze dell’Anfiteatro romano, secondo per dimensioni solo al Colosseo, come i sotterranei, luoghi che contribuiscono a spiegare in che modo si svolgevano gli spettacoli, attraverso l’utilizzo di carrucole e di piani inclinati. Purtroppo al giorno d’oggi rimane ben poco degli antichi splendori dell’Anfiteatro, deturpato da invasioni barbariche, da fenomeni naturali e da veri e propri furti di materiali, anche ad opera dei cosiddetti tombaroli. Dell’altezza originaria di 46 metri oggi non resta molto, ma, nonostante ciò, si può immaginare facilmente l’imponenza che doveva trasmettere all’ingresso. In questo luogo si tenevano gli spettacoli dei gladiatori della scuola della civitas capuana, situata nelle vicinanze, della quale faceva parte, appunto, anche Spartaco, dopo essere stato imprigionato. E proprio da qui partì nel 73 a.C. la rivolta dei gladiatori da lui capeggiati.

Ma la puntata non ha indugiato solo sull’Anfiteatro Campano: una parte del documentario è stata girata, infatti, anche all’interno del Mitreo, antico luogo di culto in onore di Mitra, divinità venerata nelle zone orientali dell’impero romano. Sono molto rari i monumenti di questo genere nella nostra penisola, proprio per la loro origine extra-italica. All’interno della struttura si possono ancora ammirare gli affreschi, il più importante e meglio conservato dei quali rappresenta il taurocedio, cioè l’uccisione di un toro bianco da parte del dio Mitra.

Si spera che la puntata del documentario porti alla città di Spartaco un numero sempre maggiore di turisti e visitatori, affinchè possano ammirare da vicino ciò che rimane degli antichi splendori di Capua, una volta denominata anche Altera Roma, poichè, per la sua grandezza, era seconda soltanto all’Urbe.

Di Spartaco non resta molto, neanche una tomba, però è rimasto l’ideale per il quale ha combattuto ed è morto, cioè la lotta per la libertà.

​

​

Un calcio all’indifferenza

Al via il campionato di calcio per ragazzi disabili, denominato 'Quarta categoria'

​

28 aprile 2017

 

Finalmente il mondo del calcio è divenuto accessibile anche ad atleti diversamente abili, dando loro maggiori possibilità di integrazione. Infatti, il 21 gennaio 2017 si è tenuta a Milano la prima giornata del campionato di calcio per ragazzi disabili,

denominato ‘Quarta categoria‘. La ceri-

monia è avvenuta alla presenza del

presidente della FIGC, Carlo Tavecchio,

dell’a.d. della Juventus Marotta, dei suoi

omologhi di Milan e Sassuolo, Galliani e

Carnevali, del d.s. dell’Inter Ausilio e del presidente del Genoa Preziosi. Alla competizione, organizzata in sette giornate, partecipano otto squadre di sette giocatori, ognuna patrocinata da una squadra di Serie A, precisamente Milan, Inter, Genoa, Cagliari, Fiorentina, Sassuolo, Lazio e Udinese.

Le formazioni partecipanti si fronteggiano in partite della durata complessiva di trenta minuti, con un intervallo di cinque giri d’orologio. Tutte le partite di ogni turno si terranno durante una stessa giornata, al centro del Football City a Milano, mentre la disputa finale si terrà il 13 maggio a Ponte Lambro, in provincia di Como. Questa iniziativa, nata da un’associazione no-profit di Milano, promossa dalla Lega Nazionale Dilettanti, dalla Lega di Serie A e dalle associazioni degli arbitri e degli allenatori, è stata accolta dalla FIGC, il cui presidente Tavecchio ha affermato: “Non ci si fermerà alla prima edizione. L’esperimento verrà allargato a tutta la nazione”. Il progetto è stato di recente presentato al Senato, alla presenza di rappresentanti delle istituzioni e di buona parte del mondo del calcio. E noi diciamo: "Per una volta anche il calcio è tornato ad essere uno sport e non solo un business!"

​

​

Armistizio in Siria: la guerra è finita

Più di mezzo milione di morti e milioni di sfollati sono stati il costo di questa lunga guerra fratricida, iniziata nel 2011. Però questa è la notizia che ci piacerebbe leggere

​

​

​

​

​

​

​

​

​

​

14 novembre 2017

​

Oggi a Damasco, la capitale della Siria, una delegazione di rappresentanti dei ribelli siriani ha incontrato il presidente Bashar-Al-Assad per firmare un armistizio dopo sei anni di logorante guerra civile.

Più di mezzo milione di morti e milioni di sfollati sono stati il costo di questa lunga guerra fratricida, iniziata nel 2011 con semplici proteste di piazza e poi sfociata in un sanguinoso conflitto che, tra varie battaglie e battute d’arresto, ha visto il coinvolgimento, oltre che dei ribelli, delle forze governative e dei separatisti curdi, anche dello stato islamico dell’ISIS.

Le varie condizioni e posizioni tra le parti in conflitto devono ancora essere discusse, ma sembra che nuove elezioni non siano lontane, per far sì che il popolo decida del proprio futuro. I vari leader mondiali si sono detti soddisfatti dello storico avvenimento; tra questi i più alti rappresentanti dell’ONU, il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump. Non erano mancate le tensioni tra Stati Uniti e Russia, durante questa guerra, come quando il presidente Trump, appena eletto, aveva fatto partire 59 missili bellici verso una base militare siriana, accusando il governo mediorientale di aver deciso di sferrare da quel luogo bombardamenti con armi chimiche. Una mossa fondamentalmente inutile, dato che la base era già stata sgombrata delle munizioni ed evacuata dal personale militare, e che era servita solo a scatenare le reazioni diplomatiche di Russia e Siria.

L’armistizio ha avuto effetto immediato, e i civili rimasti in patria, appena ricevuta la notizia, hanno festeggiato con grande gioia, dimostrando la grande voglia di pace che avevano. Adesso bisogna attendere il ritorno dei propri amici e familiari, che avevano cercato rifugio altrove, per ricostruire il paese e, con esso, il proprio futuro.

Resta da affrontare solo il nemico comune, l’autoproclamato Stato Islamico, che ha approfittato della guerra per costruire un impero di terrore. Solo se verrà sconfitto, si potrà finalmente mettere la parola fine alle vessazioni della popolazione siriana.

​

​

​

​

​

​

​

​

aleppo_siria.jpg
bottom of page